La Nostra Storia
L'Istituo Casa Famiglia nel 2012 ha festeggiato 100 anni di attività!
A Cetona fin dal 1605 esisteva il Convento delle Monache di San Domenico, abbandonato nel 1810 quando Napoleone soppresse il loro ordine. Nel 1894 il Comune di Cetona ne aveva acquistato una piccola parte e data in uso solo per la notte ad alcuni anziani bisognosi. Alcuni rappresentanti delle aristocratiche famiglie di Cetona chiesero al Comune la concessione di questi locali . Il Comune approvò la richiesta , ben sapendo quale sgravio sarebbe stato per le finanze del Comune, e quale onore per il Paese avere anche un’umilissima istituzione per accogliere persone in condizioni disagiate.
Una volta avuto lo stabile in concessione, ai rappresentanti delle famiglie fondatrici si unirono Ugo Grottanelli e Don Stanislao Bacosi, e in seguito Rodolfo Bechelloni, Gualtiero Grottanelli, Savina Spiganti Piastrelli, Elvira Staccioli Giorgi, Gina Grottanelli, Anna Bologna Spiganti , con l’intento di promuovere oblazioni fisse e spontanee per l’attuazione del progetto di un Istituto di accoglienza.
Il 6 gennaio 1913 si dovevano benedire i locali della ‘Casa Famiglia Invalidi al Lavoro’ tra il compiacimento di tutto il paese. I primi ospiti della casa dovevano essere sei, ma purtroppo la sera del 5 gennaio uno di loro, certo Giovanni Segreti, passo’ a miglior vita, cosi’ solo cinque furono i fortunati che passarono nei nuovi, modesti, ma lindi locali e qui vogliamo ricordarne i nomi: Luigi Rossi, Clementina Fatini, Rinaldo Beppetti, Leopoldo Paolini e Angela Fidolfi. Il 6 gennaio e’ rimasta una data storica, tant’e’ che da allora, ogni anno, nel giorno dell’epifania si fa festa tra le mura della casa. L’assistenza degli ospiti, fu affidata ad una certa Laura Rosi che alla sua morte lascio’ all’Istituto un premio della sua assicurazione sulla vita di £ 2.500. In quegli anni molti transitarono per quei locali. Si conta che nei primi 25 anni 120 persone avessero chiuso gli occhi tra quelle mura. Inoltre l’opera di assistenza non si restringeva solo ai ricoverati, si fornivano anche pasti a domicilio alle persone inferme e bisognose e si distribuivano sussidi in denaro e in natura.
l’Istituto si dimostro’ veramente animato da fraterna carita’, durante la grande guerra del 1915-18, quando i profughi del Veneto si sparsero in tutte le citta’ e paesi d’Italia. La Casa Famiglia apri’ subito le sue porte e per molto tempo i profughi vi si raccolsero per i pasti e molti vi abitarono finche’ non trovarono un alloggio in case private. Dopo la guerra ovunque si cercava di venire incontro ai tanti bisogni di orfani, vedove e malati, vecchi rimasti soli; si cercava di venire in aiuto sempre con il proposito di togliere dalle strade tanti accattoni e anche dai paesi vicini si chiedeva ospitalita’. Cosi’, per iniziativa del Consiglio di Amministrazione e del Regio Commissario Montanari, si decise di dare maggiore sviluppo alla Pia Istituzione adattando i locali detti “la chiesina delle Monache” e allo scopo la Casa Famiglia sottoscrisse una convenzione con il Comune che ne era proprietario.
Volendo pero’ il possesso assoluto dello stabile, nel 1922 prima acquisto’ l’immobile dal Comune, pagandolo £ 8.400, e poi si addosso’ l’intera estinzione del mutuo di £ 30.000, assunto per la sua ristrutturazione. La convenzione sottoscritta con il Comune per l’acquisto dello stabile prevedeva che la Casa Famiglia doveva costituirsi in Ente Morale. Tale riconoscimento avvenne con Regio Decreto n. 1228 del 27 Maggio 1923, ottenuto in seguito all’interessamento del cittadino cetonese On. Giovanni Marchi, all’epoca Ambasciatore d’Italia a Santiago del Cile, il quale si interesso’ anche per l’ottenimento dal Ministero dell’Interno di due cospicui contributi.
Ingrandita la sede dell’Istituto, ben restaurata su progetto gratuito del cetonese dell’Ing. Arnaldo Maccari, si poteva disporre di ampi locali, cameroni ariosi, infermeria ed un magnifico terrazzo, dal quale si poteva ammirare uno splendido panorama. I locali dovevano pero’ essere convenientemente arredati ed a questo scopo vennero in aiuto due notevoli offerte: una del Papa Sua Santita’ Benedetto XV e una di Sua Maesta’ il Re Vittorio Emanuele III. Il Dr. Felice Bologna arredo’ tutta l’infermeria e sua sorella Anna Bologna fece un’offerta per l’acquisto di alcuni locali attigui all’Istituto. Cominciarono ad affluire le domande ed in breve il numero sali’ da 6 a 22. Aumentando il numero degli ospiti bisognava pensare anche al personale di assistenza e siccome gia’ dal 1915 prestavano la loro opera all’Ospedale Umberto I le Suore della Sacra Famiglia di Spoleto, si penso’ di affidare a loro anche la direzione e l’assistenza della Casa Famiglia. Cosi’ le bianche figlie di Maria, cacciate un secolo prima, fecero ritorno al Convento. Cetona e’ stato il primo paese della nostra zona che ha visto sparire dalle strade l’accattonaggio. Il primo Statuto, approvato il 19 settembre 1922 prevedeva il ricovero gratuito, o con retta da stabilirsi, la cura ed il mantenimento dei vecchi poveri di ambo i sessi e che per vecchiaia e infermita’ cronica fossero impotenti al proficuo lavoro. Si provvedeva ai loro bisogni con la contribuzione annua di £ 200 di ciascun socio patrono, con la rendita di alcune cartelle di debito pubblico, con le rette dei cronici di nomina privata o comunale, i lasciti, le oblazioni e i doni di qualunque specie. Il 16 marzo 1928 furono fatte alcune modifiche stabilendo, tra l’altro, che nel caso in cui i ricoverati potessero attendere a proficuo lavoro, dovevano rilasciare alla casa meta’ della paga. Al 31 dicembre 1921 il patrimonio della Casa Famiglia era di £ 15.347.
Il 24 marzo 1944 Casa Famiglia perse il suo storico presidente, Don Stanislao Bacosi, che per 32 anni si era dedicato a questa sua creatura che, sotto la sua guida, aveva saputo resistere agli anni del fascismo, quando era forte l’ostilita’ del regime verso questo tipo di iniziative. Alla sua morte ne continuo’ l’opera Rodolfo Bechelloni, fino al 1948, anno in cui si contano gia’ 40 ricoverati. Dopo di lui Alessandro Vignozzi la diresse per 14 anni, fino al 1962, anno della sua morte. Uomo moderno nei pensieri e nelle azioni, fu da molti considerato il “rifondatore” dell’Istituto. La prima preoccupazione fu migliorare il vitto, era necessario che gli anziani mangiassero carne due volte la settimana e nei giorni di festa fu concesso anche un quarto di vino a testa. Altra preoccupazione fu il loro abbigliamento. Si istitui’ una tassa di ammissione da utilizzare per l’acquisto di indumenti, cosi’ che tutti fossero vestiti decorosamente. Propose subito l’aumento dello stipendio alle suore e l’acquisto di una macchina da scrivere. La sua visione della casa era tesa verso il futuro e gia’ dal 1950 comincio’ a preoccuparsi di ampliare l’Istituto, senza pero’ trovare soluzioni. Don Giovanni Bindi ne raccolse il testimone e, considerato che la sede delle “Monache” aveva bisogno di grandi e costosi interventi di ristrutturazione e ammodernamento, elaboro’ un progetto che prevedeva l’acquisizione e l’utilizzo dei vecchi locali dell’Ospedale Umberto I, in Via San Sebastiano, chiuso nel 1964.
Nel ’65 il Commissario Prefettizio dell’Ospedale avanzo’ a Casa Famiglia la proposta di aprire in quella sede un’infermeria geriatrica. Segui’ un lungo periodo di discussioni circa l’opportunita’ di intraprendere un’avventura che presentava molte incognite e rischi. Grandi erano le perplessita’ di Don Giovanni, soprattutto perché l’aumentato volume di affari avrebbe aggravato il problema delle casse, reso gia’ fortemente precario dall’insolvenza dei Comuni. L’argomento che fece pendere la bilancia in favore dell’accettazione della proposta fu la considerazione che l’assistenza agli anziani doveva modernizzarsi, seguire nuovi e migliori indirizzi organizzativi e curativi. Si doveva, in una parola, passare dalla fase caritativa a quella sociale. Se ne discusse per due anni. Il 6 maggio 1967 il Consiglio approvo’ lo schema di convenzione fra i due enti, sottoscritta poi il 2 aprile 1971, che prevedeva la concessione in uso, per quindici anni, di tutti i beni mobili e immobili dell’Ospedale; di contro Casa Famiglia assumeva a suo carico tutti i debiti residui della vecchia gestione ospedaliera. Furono subito avviate le pratiche per la fusione giuridica dei due enti che, per cause diverse, fu formalizzata nel 1991. Data la diversa vocazione che aveva assunto, da quella data l’”Istituto Casa Famiglia Invalidi al Lavoro” cambio’ nome diventando solo “Istituto Casa Famiglia”. Intanto erano iniziati i lavori per la realizzazione del reparto cronici, che il 1° ottobre 1971 era pronto ad ospitare fino a 30 ammalati, in camere da 1, 2, 3 ,4 o 5 posti, assistiti, 24 ore su 24, da 3 inservienti di corsia e un inserviente di cucina, dietro pagamento di una retta giornaliera che andava dalle 2.500 lire per la camera singola con bagno alle 1.500 lire per i posti di corsia,. Il reparto cronici si riempi’ in breve tempo e poco dopo fu aggiunto un Medico e un inserviente addetto ai servizi ambulatoriali. Nel frattempo continuava ad operare la sede di Via San Domenico, dove ancora trovavano ospitalita’ 30 anziani autosufficienti, assistiti da tre suore, di cui una con mansioni di dirigente, due inservienti addette alla pulizia delle camere e alla distribuzione dei pasti, una lavandaia e un addetto al guardaroba. Don Giovanni Bindi mori’ il 7 giugno 1973. Aveva realizzato il sogno di ampliare Casa Famiglia, ma non era riuscito pero’ ammodernare la sede delle “Monache”
Dal 1970 faceva parte del Consiglio di Casa Famiglia questo nuovo parroco che, con instancabile entusiasmo, consumava le sue giornate fra giovani e vecchi, regalando a tutti la sua pazienza, la sua tenacia e la sua intelligenza. Fu naturale che fosse lui a guidare la Casa Famiglia dopo la morte di Don Giovanni. Quelli furono gli anni piu’ difficili. Non si trovava una soluzione per la vecchia sede, nella nuova affluivano sempre piu’ persone, ma pochi erano quelli in grado di pagare e Don Mauro non era uno cui interessasse il conto in banca. Lui accoglieva tutti, specie gli sbandati e derelitti. Chi non ricorda il Ciampoli, con il sigaro in bocca e la perenne gola di un bicchiere di vino. Don Mauro lo trovo’ a Siena che dormiva su una panchina, senza casa e senza parenti. Perfetto sconosciuto, lo sali’ in macchina e lo porto’ a Cetona. Era il 1980 e qui e’ morto nel 2011, fra le lacrime di tutti. Il suo dolore piu’ grande e’ stato quello di veder Don Mauro morire prima di lui. Questo era Don Mauro. Si deve al suo impegno e alla sua costanza, nonché alla grande disponibilita’ delle “donne” di Casa Famiglia se in quegli anni tutti sono riusciti, in qualche modo, ad avere un piatto di minestra e magari un po’ d’erba di campo, che le donne andavano a cercare quando non erano al lavoro. A questa situazione, di per sé drammatica, si aggiunse la reprimenda della USL che, causa le mutate leggi sull’assistenza, negli anni fra l’85 e l’87, impose che la casa di Via S. Sebastiano, seppure aperta in epoca abbastanza recente, ma oramai totalmente inadeguata, doveva essere completamente ristrutturata, pena la sua chiusura. Nel frattempo era stata chiusa anche la casa di Via San Domenico perché ormai tanto fatiscente da non poter essere piu’ abitata. Nel 1983 era entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione Romano Pizziconi, valida spalla per Don Mauro. Furono anni spesi a regolarizzare le posizioni giuridiche dei dipendenti e a rimettere a posto i libri contabili e fu affidata la tesoreria al Monte dei Paschi di Siena. Insieme cominciarono a pensare alla ristrutturazione della casa, capirono subito che era improponibile lavorare sul vecchio, bisognava costruirne una nuova, il problema era dove trovare i soldi, l’unico bene che possedeva Casa Famiglia era la vecchia sede di Via San Domenico. Fu subito messa in vendita, anche se ci volle fino al 1993 per trovare un acquirente. A giugno del 1988 Don Mauro fu trasferito a Scrofiano, lasciando nella disperazione tutti quei vecchietti che in lui avevano ritrovato il padre, il fratello, il figlio.
E’ stato Romano Pizziconi, eletto Presidente nella seduta del 24 giugno 1988, a guidare Casa Famiglia negli anni della rinascita. La casa di Via San Domenico, dopo due aste andate deserte che partivano da un prezzo base di £ 1.800.000.000, fu venduta a trattativa privata per soli 800 milioni. Fu assunto un mutuo con la Cassa Rurale di altri 800 milioni. Nel 1991 iniziarono i lavori ma si dovette sospenderli per mancanza di fondi. Grazie al Comune di Cetona, al Monte dei Paschi di Siena, alla vendita di una casa lasciata in eredita’ da Giocondo Cupelli, alle cospicue donazioni delle Signore Maria Franci e Gabriella Molaioli, alla vendita di un appartamento a Chiusi e di un terreno a Cetona donati rispettivamente dalla Sig.ra Ines Angelini e dalla Famiglia Grassini, fu completata e arredata la nuova sede. Pochi anni piu’ tardi fu realizzato il giardino, su un terreno donato da Alfredo Cupelli, grazie anche alle generose donazioni della Fondazione del Monte dei Paschi, di Enzo Goracci, della famiglia Ciaccioni, di Federico Forquet e della Sig.ra Giuliana Grassini Strazza . Intanto che si procedeva con i lavori, si ebbe una svolta decisiva nella vita dell’Istituto. Il 29/07/1993 fu sottoscritta la convenzione con la USL, che prevedeva l’assistenza a 20 anziani non autosufficienti, saliti a 32 nel 1996, segnalati dal Servizio di Assistenza Sociale. Venivano richiesti elevati standard di qualita’, come previsto dalla normativa regionale e nazionale, a fronte pero’ di un corrispettivo pagato dalla USL che quasi raddoppio’ le entrate. Questo l’atto decisivo per la riqualificazione, che trovo’ il suo compimento il 30 settembre 2000, con l’apertura della nuova sede, dove trovarono ospitalita’ 32 persone non autosufficienti e 9 autosufficienti.
L’istituto Casa Famiglia non era piu’ una casa di riposo ma una “Residenza Sanitaria Assistenziale” (RSA), fiore all’occhiello di tutti i cetonesi. L’amministrazione ha continuato ad impegnarsi per la sua crescita e con cadenza quasi annuale ha dato vita a nuovi servizi o migliorato quelli esistenti. Cosi’ nel 2001, primi in Toscana in questo settore, e fra i primi in Italia, aderendo ad un progetto elaborato dalla Comunita’ Montana, siamo riusciti ad ottenere la certificazione per la qualita’ UNI EN ISO 9001. In quegli anni, grazie alla collaborazione con il Comune e alle risorse dei patti territoriali e’ stato ristrutturato il vecchio ospedale, del quale solo il seminterrato era stato recuperato a locali di servizio per la nuova sede. Tutto il piano rialzato e’ stato trasformato in Ostello per la Gioventu’ ad eccezione di tre camere che sono state utilizzate dalla casa di riposo con il conseguente aumento di cinque posti letto e Il 1° aprile del 2004 e’ stato aperto l’Ostello per la gioventu’ “La Cocciara”, dotato di nove camere con 34 posti letto, molto confortevole e ben arredato, offerta per il turismo a basso costo in un paese completamente privo di strutture ricettive. Nel frattempo, a giugno del 2001, era uscito un Decreto Legislativo che prevedeva la trasformazione delle ex IPAB (Istituzioni Pubbliche di assistenza e beneficienza), atteso da almeno da trent’anni. Anche l’Istituto Casa Famiglia doveva trasformarsi. Poi c’e’ stata la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha trasferito alle regioni le competenze in materia sanitaria, cosi’ si e’ dovuto aspettare fino al 2004 che la Regione Toscana legiferasse, dettando le norme di dettaglio. Le possibilita’ erano: trasformarsi in fondazione privata o in azienda pubblica. In questo secondo caso occorrevano specifici requisiti: volume d’affari, patrimonio e altro ancora. L’Istituto Casa Famiglia li possedeva e il Consiglio, dopo un’attenta analisi, all’unanimita’, scelse di trasformarsi in azienda pubblica. L’atto costitutivo e il nuovo statuto sono divenuti efficaci dal 1° gennaio 2006. Siamo cosi’ diventati una ASP (Azienda Pubbliche di Servizi alla Persona) La stessa Legge regionale prevedeva, fra l’altro, che le nuove ASP fossero protagoniste nella gestione dei sevizi sociali sul territorio. Cosi’ venimmo chiamati dall’Azienda USL alla realizzazione in un progetto sperimentale che vide, il 1° novembre 2006, l’avvio del Servizio di “Cure Intermedie” con 4 e poi 6 posti letto. Questo servizio e’ rivolto a coloro che, finita la fase intensiva della malattia, possono essere dimessi dall’ospedale ma non sono ancora in condizione di tornare a casa perché necessitano di cure sanitarie e/o riabilitative, oppure perché a casa non possono essere adeguatamente curati o per dare un sollievo alla famiglia. Per loro la USL prevede un ricovero che va dai 20 ai 45 giorni. In questi sei anni sono transitate centinaia di persone in quello che molti chiamano l”Ospedalino”. Il progetto ha riscosso un grande successo e ci ha dato grande visibilita’. Il nostro lavoro e’ stato tanto apprezzato dalla USL che, dopo aver ristrutturato e arredato un’ala dell’ex ospedale di Chiusi, ricavandone una residenza sanitaria per 21 ospiti non autosufficienti, ci ha proposto la sua gestione. Il 9 aprile 2007 il Sindaco di Chiusi Ceccobao, l’ha inaugurata presentandola, con grande orgoglio, ai cittadini chiusini. Poco piu’ di un anno dopo, e precisamente il 1° settembre 2008 la USL ha voluto affidarci anche la gestione del Centro Diurno “I Lecci” di Chiusi, con 15 posti per non autosufficienti. Sembrerebbe potesse bastare, ma cosi’ non e’. Dopo aver ampliato i servizi, l’amministrazione si e’ nuovamente concentrata sul miglioramento della residenza di Cetona, realizzando una rete di impianti fotovoltaici capaci di produrre energia fino a di 27,50 kwp . Da ultimo il 15 settembre 2011 ha acquistato un fabbricato da adibire ad uffici amministrativi. Questo permettera’ di lasciare al godimento degli anziani le stanze ora occupate dall’amministrazione. Quella che nell’inverno del 1912 nacque come casa per sei vecchietti e’ diventata la realta’ economica piu’ importante del paese, che da’ lavoro ad oltre 60 persone e assistenza a 82 anziani. Il denominatore comune e’ la voglia di fare che e’ continuata nel tempo con lo stesso entusiasmo e senso di altruismo che contraddistinse i soci fondatori